Sapevate che il PNRR
13/04/2022

Tra i numerosi settori coinvolti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza il turismo costituisce una delle principali aree di intervento. Gli obiettivi del PNRR per il turismo sono due: aumentare la capacità competitiva delle imprese e promuovere un’offerta turistica fondata sull’innovazione digitale e la sostenibilità ambientale.
Vaghi e a basso effetto gli incentivi dedicati al turismo: la Missione 1 del PNRR, intitolata “Digitalizzazione, Competitività, Cultura e Turismo” enfatizza la transizione digitale nella pubblica amministrazione, nel sistema produttivo (che sarebbe l’Industria dell’Ospitalità italiana), transizione che dovrebbe rilanciare i due settori economici che maggiormente distinguono l’Italia: il turismo e la cultura. Gli industriali non la pensano così, ma si procede ugualmente. A questi obiettivi toccano 2,4 miliardi di euro per il sostegno e il rilancio del settore attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale e turistico, delle risorse e della digitalizzazione. Declinando i progetti - come chiede la UE - emergono 3 obiettivi principali previsti dal Piano:
1. digitalizzare l’offerta e la promozione turistica del Paese;
2. riqualificare le infrastrutture, migliorando gli standard e la qualità dei servizi nonché, “mission impossible”, riducendo la frammentazione del settore;
3. sostenere la transizione verde del settore turistico per ridurre l’impatto ambientale delle attività e dei servizi turistici. Il turismo, diceva Rifkin, è spesso inquinante, giusto quindi investire per renderlo sostenibile.
Accade però che questi 3 obiettivi siano logicamente soggetti alla naturale frammentazione “per territori” e alla spartizione delle risorse non per “competenza e qualità”. Gli interventi economici disponibili vengono fatti a pezzi perché nessuno nel turismo è abbastanza autorevole per determinare la quota spettante al progetto piuttosto che distribuirla a Regioni, Province Autonome e Comuni… perché l’Italia, tutta l’Italia è virtualmente turistica. Non sarebbe comunque facile per nessun advisor vivente in Italia affrontare i problemi della spartizione dei fondi disponibili insieme a quelli della frammentazione delle imprese turistiche. Quanto all’evoluzione della cultura delle decine di migliaia di piccoli operatori tradizionali che tutti sanno essere ancorati alla tradizione, possiamo sperare solo in un ricambio generazionale. L’equazione “formazione = innovazione” per ora non funziona, visto che la dimensione media delle aziende che compongono l’industria dell’ospitalità italiana è talmente limitata da non mettere insieme mediamente 4 dipendenti per azienda. Aziende famigliari, stagionali, dove “tutti fanno tutto”, dove la flessibilità e la polivalenza trasformano i dipendenti in “factotum”. E’ difficile specializzare i factotum con i corsi di formazione.
Ma mentre cerchiamo di immaginare soluzioni positive per l’organizzazione del lavoro e la frammentazione delle imprese turistiche, nel PNRR avvertiamo il ticchettio di una bomba sicuramente divisiva, etichettata così: “evitare i rischi dell’overtourism”.
In Italia tutta l’economia turistica si basa sui momenti di sovraccarico: dalla Fiera del Mobile di Milano al Carnevale di Venezia, dai pienoni di luglio e agosto a Rimini a quelli di Madonna di Campiglio e Cortina in occasione delle festività di Natale e Capodanno. Vogliamo davvero investire soldi del PNRR per abolire la stagionalità, i grandi eventi, il carico di Carnevale, la Pasqua e i ponti primaverili, Ferragosto e San Silvestro? Il turismo mediterraneo dipende da una sessantina di giorni di massimo carico antropico stagionale, accade invece che i funzionari UE, spesso nordici e scandinavi, scrivano regole “alla norvegese”, con la priorità della tutela dell’ambiente e della riduzione dell’overtourism. E così a Bruxelles si stanziano fondi per redistribuire i flussi turistici puntando a trasferirli là dove i turisti non vanno volentieri. E una vecchia storia grazie alla quale si dovrebbe realizzare il riequilibrio antropico. In effetti si salverebbe l’ambiente come vuole la Cop26, però l’economia turistica, per la quale i giovani europei non sembrano mostrare particolare interesse morirebbe.



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